fiume

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fiume della vita

sabato 26 settembre 2015

"COME FANNO I BAMBINI" IL SOGNO CHE INSEGNÒ LA VIA

Breve introduzione. Tardavo a dormire. Pensavo. E i pensieri non aiutano il preludio al riposo a meno che non portino ad approfondire un sentire bello. Tenevo accesa la piccola lampada sul comodino e i pensieri sgranocchiati come il secondo dei Misteri. Quello doloroso per chi non avesse dimestichezza con la Chiesa cattolica e con quello che s' impara nella prima età. Solitamente quella scolare. L'Invisibile che mi sta sempre appresso mi suggerì di spegnere la luce. Così allungai la mano ed eccomi sprofondata nel sonno. SOGNO In grigio sino alla fine se non con qualche spruzzo di luce bianca. Mi trovavo in una casa che non conoscevo ma che sapevo essere la mia. Era arrivata la donna delle pulizie insieme ai suoi cinque figli adulti meno una piccola incollata alla sua gonna. La gonna era nera e cupa lei nel volto mentre duri erano i volti dei figli. Erano sardi e, com'è risaputo basta un'ombra per offenderti chiuderli come dei ricci. A uno di loro impartivo lezioni di canto. Tutti lavoravano insieme alla madre. L'atmosfera che si era creata era tesa pesante cattiva e a me non piaceva. Per natura sono accomodante, odio i litigi e i litigiosi, i bronci. Io assistevo ai lavori manuali imbarazzata, impacciata quando davo qualche ordine. Lentamente mi avvicinai al giovane allievo e con dolcezza gli chiesi se ricordasse la respirazione. Immediatamente sorrise e subito si predispose a darmene una dimostrazione. Era un pò che non veniva a lezione e temevo potesse avere dimenticato come si utilizza il diaframma. Al fine di spiegargli il meccanismo completo e sul percorso di ciò che avviene a livello dei muscoli, avevo introdotto un Concetto molto complicato da capire e quindi difficile da mettere in pratica. L'atmosfera pesante ora si era sciolta e tutti i fratelli assistevano interessati alla prova, tranne la madre che continuava a lavorare, piegata ma col volto rischiarato dalla luce della serenità. Il giovane però pur mettendocela tutta non riusciva ad applicare completamente ciò che gli dicevo. A un certo punto sbottai nel lampo di una giusta intuizione "senti, lasciamo perdere i MUSCOLI e concentriamoci invece du una bella e profonda respirazione naturale. Di PANCIA COME FANNO I BAMBINI", Senza problemi lui respirò come doveva e felice mentre tutti scoppiavano in una fragorosa risata liberatoria e riconciliatrice. E anch'io mi sono svegliata col sorriso che mi allargava tutto il volto. Con questo sogno avevo imparato io una cosa preziosa e fondamentale. Il complicato ce lo creiamo noi quando il semplice che ci riporta alla naturalezza di quando si era bambini è la sola e unica strada che si deve seguire anche per spiegare concetti difficili di matematica. Mirka NOTA Anche la narrazione scrittura di questo sogno l'ho buttata di getto appunto perchè non ne perdessi nulla e fosse naturale e vero come lo sono sempre i bambini quando dormono o da svegli ridono

domenica 20 settembre 2015

OSTINAZIONI





Erano litigate furiose da parte mia. Lui non perse mai e poi mai la pazienza. E dire ch'era un esuberante. Ostinatamente tornava con un bacio. Ostinatamente quello era il suo fiore sempre fresco di rugiada. Ora che non c'è più, sono io che Ostinatamente cerco che si apra la porta col fiore spuntato prima ancora di vederne la faccia. Stupida Me per non aver voluto comprendere l'amore raccolto e pieno in quella enorme virtù dal nome Pazienza. Le mie liti furibonde solo Scemenza.

Mirka

 Notturno (Op 48 N. 2  F. CHOPIN)



giovedì 17 settembre 2015

CONSERVO ANCORA QUELLE MICRO CASSETTE

Mi sono svegliata con My Way in gola. Tutto era come quel mezzogiorno quando la lucina rossa della segreteria telefonica ha cominciato a lampeggiare.  Ho sempre pensato che, con chi si ha un'intesa alchemica, fossero delle onde magnetiche a propagare energia, a inviare messaggi da decifrare, a scegliere una musica precisa scartandone altre, a formare le  stesse parole anche senza averne coscienza. Così tra noi, dopo quel l'addio voluto più che sentito, avevano preso il via degli strani segnali che riuscivo a interpretare senza timore di equivocare il senso, godendo e agganciandosi a loro come fosse il mio interno, mentre l'immaginazione si cullava di ricordi che credevo persi per sempre e ai quali davo ogni volta forme di esclamazione. Ah! Oh! Uh!. Li stava tutta la realtà di essenze brucianti per superiore intelligenza e che si impossessavano d'ogni neurone portandolo fuori da ogni relatività. In fondo noi eravamo degli geocentrici, quindi Aurora continuava a deglutire sapori immaginati tra un ricordo e l'altro, tra un'esclamazione e l'altra variata solo dalla vocale. E pur fra un lampo e l'altro di quei ricordi ne percepiva l'interezza e l'unità. Proprio come un fine al quale entrambi avevano dato un contributo formativo. Nitido il ricordo di quella pioggia fine di uno di quei crepuscoli lenti e chiari di giugno che paiono continuare sino alla metà della notte. Non si erano baciati, ma le loro mani si erano congiunte in una morsa mandando in circolo una valanga di ormoni. E la potenza dell'amore era materia viva, palpitante nei polsi, nel l'ebbrezza di fondali dove zampettano farfalle cristalline. Anche quel giorno era di giugno. Non c'era la pioggia ma un sole già forte da invocare lo scuro degli occhiali. Ma perché le batte così forte il cuore?... Salta due gradini per arrivare alla porta, una caviglia le fa male ma caccia con fastidio il dolore che avanza. Non trova la chiave. Si innervosisce. Rovescia a terra tutto il contenuto della grossa borsa. Fumano gli occhi e tremano le mani ma la chiave è li. Lucida e bella. La raccoglie, le dà un bacio virtuale e apre la porta. Con uno strattone la spalanca e corre nel corridoio. La lucina rossa le parla nel solito linguaggio familiare. Si tranquillizza e ritorna indietro a riprendersi le cose lasciate a terra. I gesti pensano ad altro e più tardi pagherà il disordine con del tempo prezioso che le recherà altro nervosismo. Lo sa bene ma non se ne cura. Il silenzio della casa è quasi palpabile,se non fosse per i canarini che come sempre si azzuffano. Indugia in cucina. Comincia a sgranocchiare un biscotto restato sul tavolo dalla colazione, fa il verso ai canarini, cerca d'imitare l'usignolo. Apre il frigo. Prende la bottiglia di Francia Corta versandosene due dita. Con lentezza studiata si dirige alla segreteria telefonica. Ma perchè continua a batterle così forte il cuore? Tituba un poco mentre fissa la lucina rossa,  poi decisa spinge il dito sul bottoncino rosso. La voce inconfondibile di Frank Sinatra riempie tutti i muri della casa ma soprattutto la canzone MY WAY. Raggela mentre come una Mummia va verso la sua camera da letto. Si depone sul letto. Chiude automaticamente gli occhi. Fuoriesce un rigido cristallo facendo strada ad altri.  Duro come la  prima pietra  consapevole del dolore senza conforto di nessuna spiaggia. (Estrapolato dai Racconti Il Destino Nel Nome )

 Mirka




 MY Way













giovedì 10 settembre 2015

CONTRASTI INTELLETTUALI



"Se io NON penso, mi guardo attorno e dimentico. Se DIMENTICO perdono indiscriminatamente. Se PERDONO sto meglio con me e col mondo intero.  Ché tutto mi e Indifferente. Anche la schiena mi si drizza diventando morbida ed elastica. Il Difficile è ARRESTARE i pensieri che invece vorrebbero volare per prenderne uno  rendendolo bersaglio e  perfettamente centrato a chiodo da togliere". Così si diceva la donna sull'uscio mentre si accingeva ALLEGRAMENTE a chiudere porta e finestre.  (Frammento estrapolato dai Racconti Il Destino Nel Nome)

Mirka







 JE T'AIME 












domenica 6 settembre 2015

E IL MURO DI VILLA PANPHILI FU SOLO UN NOME



...E un giorno si trovò tutto il muro di Villa Pamphili pitturato in nero e in tutte le misure col nome di Amneris. Amneris è la seconda protagonista femminile principale dell'Opéra omonima di Giuseppe Verdi.  La donna rimase di stucco. Ma invece di ridere scoppiò in un pianto fragoroso. E lei sapeva perché. Gli addii riportano inconsciamente alla morte o a qualcosa che finisce o non c'è più.  Dopo alcuni giorni si vide recapitare una lettera insieme a un pacchetto che non aprì se non dopo parecchi anni. Sul momento non ne ebbe il coraggio di aprirlo,  o più ancora dovuto a una delle sue famose quanto deleterie impennate d'orgoglio.  E pagò a caro prezzo quella sua vigliaccheria. Forse la prima  per la combattente in campo quale era e che mai scappò dalla lotta per ciò  che credeva, o contro il nemico reale o quello costruito dalla mente, ma sicuramente  fu anche l'ultima.


 (L'improvviso di un frammento estrapolato dai Racconti del Destino Nel Nome)

Mirka





"Ne me quitte pas"(Jacques Brel







giovedì 3 settembre 2015

FOTOGRAFARE OVVERO DELL'ETICA





Si fa un gran parlare se sia buono o no fotografare le forme del dolore, lecito oppure un affronto alla moralità fotografare il dolore nei suoi spasmi, nella sua terribilità che porta alla morte.  Io dico di si, che si deve.  E mi esprimo con un esempio personale. Nella mia vita non ho mai assistito alla morte fisica di una persona. Neppure quando ero una studentessa di medicina. Al dolore invece fui sempre presente. Con empatia e compassione. Vera e profonda. Quando morirono mia madre e la mia ultima zia, sorella di mia madre, chiesi alle Onoranze Funebri, con molta umiltà, di assistere al rito della vestizione. Accettarono con un misto di stupore incredulo e di ammirazione. Nessuno l'aveva fatto prima di me e nessuno si era presentato con una simile richiesta, anche se vagamente ne compresero la profonda motivazione, oscurati dalla mente formato mestiere parcelle.  E vidi. Vidi le  care nudità con tutti i segni della sofferenza. Uno per uno li ho distinti, e su ognuno versai silenziose ampolle di pianto. E ogni osso fu contato con tenerezza,  inviando invisibili baci turbati solo dal rumore di singhiozzi silenziosi.  E posso affermare con assoluta onestà, che mai Rispetto fu più alto, come essere di fronte a un dio, e gesto d'amore nella autenticità più grande e pura. Non ripresi con l'obiettivo solo  perché furono i miei occhi a  Volerlo fare, stampando e incidendo la Memoria di quelle amate spoglie.  Lo stesso dicasi per i fotografi di professione. Il loro obbligo morale non è quello di incidere su le coscienze, scuotere, squarciare, renderle attive attraverso la realtà nuda del dolore?  Lo fecero dei grandi come Mario Giacomelli che non addolcì certo con le sue opere la solitudine dei vecchi chiusi tra le mura di un ospizio, le crudeltà spesso degli operatori, l'indifferentismo umano formato cinismo di freddo godimento.


 Mirka











" Preludio" (Op 28 -n.4 -  E min -F.Chopin)


mercoledì 2 settembre 2015

IL SUPERMERCATO

< Per motivi che non sto a spiegare perchè non interesserebbero a nessuno, le mie vacanze le ho passate in città. Mica male se non ci fossero stati ritardi spropositati di bus e metro,un treno perso e molto nervosismo dietro,un vetro rotto per l'improvviso d'un vento malandrino arrivato come una sassata,una sciatalgia invalidante incollata a un broncio lungo un mese per una camminatrice quale io sono, mi sono goduta altri piaceri. Il fresco della casa anche se aiutata da buoni ventilatori,ad es. Amo restare nella mia casa. Sono una pigra con la mente vagabonda e la casa li asseconda nei suoi ritmi alternati tra scrittura,la contemplazione del nulla,la musica sulle mani,l'allegria che mi portano subito seguita da una brusca interruzione a cui fa capo un distratto caffè. Letture interessanti "Incontro d'Amore in un Paese in Guerra" (Luis Sepùlveda) "Il cuore inesperto" ( Francesca Scotti) Una ripresa delle "Vite" del Vasari qualche poeta a me particolarmente caro, riaperti i Quaderni di mia madre soffermandomi sulla Resistenza. I musei. Alla sera gli scambi con qualche amico restato in città come me e qualche Concerto. Immancabile. Ma per restare svegli nella lettura e altro bisognava fare la spesa. Ho la fortuna d'avere un Supermercato a un tiro di schioppo da casa mia. Vi andavo all'ora che mi pareva. Stretto più che largo,coi "fondi schiena" che perennemente si scontrano rischiarati subito da imbarazzati sorrisi di scuse,una processionaria colorata di esseri in pausa solo davanti a una merce d'importazione più che col nostro Bel marchio italiano. E che pena imbattersi nei volti smunti e tirati da un da una specie di sorriso delle cassiere e di chi stava al bancone! Costretti a orari prolungati oltre il minimo sopportabile e legale,senza aria condizionata che circolasse,a cercare di soddisfare ogni richiesta del cliente più capriccioso che si succedeva come a una catena di montaggio sotto lo sguardo duro d'una "guardiana". Uscivo sempre con un senso di nausea mescolato a compassione e riflettevo "Ma è questa la società per cui i nostri padri e un poco anch'io abbiamo lottato?! E' questa l'Organizzazione Del Lavoro che,in teoria dovrebbe impiegare le risorse umane come preziosità di un Bene da sfruttare senza spremerlo come un limone di provenienza X? No.. Questo è un modo meccanicistico voluto con ottusa arroganza e senza appello di protesta che IMPONE e non usa ma assoggetta obbligando l'obbedienza senza possibilità di crescita individuale e sociale,che se ne infischia dei "quadri", bloccando ogni forma di relazione tra i lavoratori ma rendendoli cani al guinzaglio di un Padrone o di Padroni associati. Perchè quando un'Economia, compresa l'organizzazione del lavoro non tiene presente l'uomo e il suo DIRITTO ad essere rispettato nei suoi bisogni reali,non può arrivare a nulla se non alla distruzione lenta di massa, uccidendo la coscienza consapevole di quell'Insieme Unito che, dando il meglio porta avanti se stesso,gli altri ,l'economia e i profitti di chi la gestisce, ma incrementando invece il rancore l' ostilità e l'odio per sentirsi dei meri esecutori in mancanza "ancora" dei robot. Mirka