fiume

fiume
fiume della vita

lunedì 30 gennaio 2017

LA VENDETTA DEL PICCHIO



Esplodeva  l'arancio dell'estate   
bruciava la terra sotto i piedi arroventati

non bastavano le fontane che
 la centesima era sempre una che mancava.

   La spiga cresceva
   da lontano il pane.
  
C'era la luna 
 la luna rossa che fumando si assottigliava ad onda

 il tic-tac del l'orologio al muro martellava
 bilanciato come un giuramento fatto davanti al Dio.


 Odore di acacia 
 attorno le api 

 l'ostinato miagolio d'un gatto senza
 la promessa della zuppa.

 Per far tacere il gatto 
 ho messo un disco e una canzone antica

si incollò a lucchetto  il labbro 
 uscì del sangue gocciolante salmastro 
.
 Incredula cominciai  a guardare
senza riconoscerne la provenienza.

Ho lasciato alla lingua il compito di trasformarlo 
ma epicentro di uragano rosso cominciava a diventare.

 Veloce  la lingua si ritrasse 
 riconoscendo essere il mio specchio.


  Con gesto secco ho chiuso la valigia
  con dentro un picchio e il gemito di un gatto.


 Nutriti i cavalli senza presentire il temporale   

i pianeti tutti bene allineati e una Parca col dito sul pomello della porta
 le trappole di Aracnide a Destino 
la Moira che assegna compie
e semi sparge dovunque separandoli alle faglia del vento
batuffoli inzuppati nelle gocce prese al sole  
il mistero del Karma appiccicato alle radici 
 un incendio muto sul sudato della pelle
 l'impazienza che germoglia inutile Esperienza 
 mentre la Necessità obbliga al riparo.    
Restò solo una scintilla di amaranto e
 un vorticoso mondo che le girava attorno 
 nel vuoto da riempire
nella luce di cristallo che ancora
trema nel silenzio d'una lacrima  e
 un ombra che oscurò per sempre il sole
 impronte di aurora alle radici  
 destinazione ignota su cui delira 
il tempo affamato più che mai di cielo
 e senza più difesa se non il nudo di
  un ramo che con qualche foglia turgida indica la sfida
tra un poco di nostalgia dolente
messa in conto come quando 
si agita il remo fra le acque  gonfie e 
senza lamine di giallo negli occhi del mio gatto.
Seccata la pianta di salvia al mio balcone
una promessa a sinistra del corpo dove 
sbuffa un poco stanco il cuore di un ghepardo
che di foresta ne odora prepotente il suo richiamo
 per chiudere gli occhi al muschiato della sua terra odorosa e vergine.


   Mirka"Zorba  


"L'ultima canzone"  (Paolo Emilio Tosti)



domenica 29 gennaio 2017

LE PAROLE





Ci sono parole che marchiano le vene per tutto il tragitto del Viaggio.    Di alcune ho un ricordo come di girasoli, papaveri, farfalle che giocano in pancia seguite come una mappa elementare, Semplici come per il neonato l' odore della Poppa quando s'avvicina.  Sogni estrapolati da un lungo fiume la cui origine è un ruscello sgorgato dalla cima più alta di un monte,  una lode a Dio a ringraziamento e preghiera mai dimenticata anche quando fissata per sempre su un filo bagnato di una teleferica.   Di altre invece ne ho il brivido del freddo tagliante, l' improntato di un ricorso diventato calco.   Calco su cui presero forma i piedi senza staccarsi mai.  Non danno tregua quelle parole anche se volontà.  È come l'appartenenza a un luogo ritenuto angolare pietra su cui fondare la vittoriosa vita trasformata a pietra d' ingombro che mai vorresti    
un esilio a vita  
 con poco spazio e poca aria
un commiato senza l'idea del tempo 
 un cuore  sbilanciato mentre 
guardingo 
insiste sul suo battere preciso pur 
saltando un colpo   
tu smarrita
 alla deriva 
 il sole stracciato  
le ceneri brucianti su
 scrosci di pioggia diventata 
calcestruzzo di memoria.  

 Dimenticare? Conciliare il tempo di allora con quello di adesso?  Impossibile.  Quelle parole Deviarono gli orientamenti per le loro Intenzionali ambiguità. Ambiguità che rincorsi come gazza mimetizzata a foglia oscillante solo per incerto vento direzionale.   Il perdono si. Ma quel perdono che si da ai morti affine ch'è abbiano remissione e pace.  
Ci sono parole che bruciano per tutto il tragitto del viaggio e atomo di Chiostro senza luce diventano, mentre assumono forma di idoli divenuti teschi.  

 Mirka  


"Prelude"  (Op 28  N. 4  -  E min F. Chopin)

giovedì 26 gennaio 2017

27 GENNAIO-GIUSEPPE SELMI

27 GENNAIO LA MEMORIA (OLOCAUSTO)




Breve nota introduttiva.  Ho conosciuto il Maestro Giuseppe Selmi (primo violoncello della RAI di Roma e musicista di livello internazionale) ai primissimi insediamenti in terra romana. Per me fu un Angelo Custode nel senso pieno e Reale  del termine per tutta la durata del suo percorso su questa terra.  La reincarnazione amorevole del  padre mai conosciuto per raccontarne guida e corse.   Per mia madre, Festa sempre di Capodanno tutte le volte si trovava  di passaggio in terra romana.  ( e come ben ricordo  la Felicità sprizzante da sei occhi quella volta al ristorante Alfredo alla Scrofa con la posata d' oro simbolicamente donata in segno di onore al l'ospite di prima venuta!) Un'amicizia di venticinque anni, bella, intensa, alta e profonda, pura, Protettiva e discreta, fatta di piccole delicate attenzioni quotidiane che riuscivano a placare ogni inquietudine, anche al suo sorgere, della giovanissima artista che si apprestava a diventare, nonché della donna poi. Niente alterò o si frappose a questa Grazia inviata dalla benevolenza della sorte, neppure il mio matrimonio, i miei figli, i viaggi di entrambi, la malattia. Solo la morte riuscì a spezzarla. Una morte preceduta dal l'anticipazione di una serie di numeri o date che il Maestro sentiva come inesorabile premonizione a cui prepararsi e preparare anche me pur con infinita dolce mestizia. Cosa che allora io non volli credere. Fra le lettere conservate (molte ahimè perdute negli ultimi traslochi), ho un vinile che mi inchioda a questo giorno (27 gennaio) e che mi fa ricordare il Maestro nella sua forza, nella fiducia nella vita, ciononostante, il suo essere Musica oltre ogni  brutalità e crudeltà, nel massacro di anima e corpo,  nello sfinimento che prende quando pare sia inutile sperare, ma credendo al suo potere salvifico. Nel rigore della onestà formato  imperiale coraggioso in tutti i campionati.  Per lui lo fu. Sempre. Mirka




"Questo è l'inferno. Oggi, ai nostri giorni, l'inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi stare in piedi, e c'è un rubinetto che gocciola e l'acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. Come pensare? Non si può pensare, è come essere già morti. Qualcuno si siede per terra. Il tempo passa goccia a goccia". 

(Primo Levi- Se questo è un uomo) 




 Nota- nelle foto sopra il dietro della copertina del vinile.  la sua mano entro cui stava il libriccino sul quale mise la composizione del suo Concerto Spirituale ispirato dal l'improvviso di un sogno fatto nella notte precedente, e la baracca col suo letto.  La foto sotto invece mostra il violoncello del Maestro, la sua sedia, la sua giacca abituale.  


 Se è impossibile ignorare la crudeltà cattiva di quella parte che convive a stretto contatto con l'uomo, dovere è ricordare che il dio maligno sa sempre giocare con Pazienza  anche quando pare un "povero" diavolo di Re che dispensa miele tenendo le manette tintinnanti in tasca.  La maschera è sempre la stessa. Levata la quale non c'è che il crimine, l'odio per chi osa non usare la stessa identica lingua.

Mirka   





"The Ballad Of Mathause" (Mikis Theodorakis)


 



Avete visto il mio amore cresciuto tra le mie carezze
 l'abbiamo visto ma senza il suo vestito bianco

lunedì 23 gennaio 2017

IL DA CAPO E IL TEMPIO



Ciò che sentono le mie parole hanno spesso l'indefinito del Tempo.    del Passato,  del tempo in Essere,    del tempo in Addivenire.    Ed è allora che mi piace  pensare come a immaginari puntini luminosi, legati fra di loro dal lungo filo della musica acciò ché non perdano  di strada.   A volte pare giochino su un  misterioso filo di telefono, e sui rumori del circondario si confondono, si perdono, si re -inventano, prendono altra forma, tornano al Da Capo.   Così ché, l'Odissea prende il via e loro,  adunate e in ascolto rispondono a un misterioso appello.    E nel silenzio tutto diventa Armonia o forse un Tempio dove si lascia fuori il tempo delle mutevoli cose. 

Mirka 

 "Somewhere in Time"  (film -musica John Barry)






domenica 22 gennaio 2017

E CONTINUAVA A RIPETERE MA ERA TE.

....sapevo perfettamente che di li a poco il mio cuore sarebbe stato fra le mani di altri     ho chiesto di fare la comunione e prendere l'estrema Unzione    non so se ho fatto bene o no,  ma ho voluto che assistessero  tutti i miei cari,    volevo dare loro un esempio educativo, ma era solo te che vedevo,   sarà stata l'anestesia,  ma era te, soltanto te.   E mentre  con sforzo salutava, continuava a ripetere questo a conciliazione con la Terra e forse anche col Cielo.  E io tremando risposi col silenzio d'una pietra, nel mentre la luce di colori in dissolvenza dava bagliori stranieri di fuochi alla pietra bagnata dal primo sole di rugiada, ma oscurato per sempre da quella nube di pece di " tempi esterni non coincidenti " . 

(dai Racconti Il Destino Nel Nome)  Mirka  


"Tristesse "  (F. Chopin)







giovedì 19 gennaio 2017

LA BARBONA (clochard)





Chi mi conosce sa che amo scattare fotografie, come la scrittura e un tempo il cantare facendo fiorire emozioni in me e in altri.  È aria che respiro, che mi esce dalla profondità della pancia e dal sentimento del cuore. D'improvviso mi si allargano le narici, il naso arriva al cielo e lentamente respiro come per luce che si congiunge, m'è entrata dentro, trova il suo posto naturale fuori e ovunque ci sia una realtà che cattura.  Un fiore che sta per sfiorire, una fogliolina tenera che spunta, un'alba come un tramonto, l'uomo nei suoi aspetti più variegati. Quando nasce, quando è vecchio, la sofferenza prima che muoia, i segni delle maschere, la gioia che si propaga a vista. Insomma, luci e ombre, il "particolare" , il brivido dell'autentico.  Come quella volta.  Stavo andando a Piazza del Popolo. Passavo da via del Babbuino e mi dirigevo a un appuntamento al quale tenevo molto. Ero in ritardo, eppure non ho esitato  a fermarsi su una figura a terra avvolto lata da diversi colori, alcuni non definibili. Tra le mani aveva una specie di piattino. Mi colpì il suo sguardo intelligente e perso nel lontano. So che non avrei dovuto...eppure cercando di non darlo a vedere tentai di catturare con lo scatto l'espressione così intensa della donna. Colsi invece tutta la sua tristezza consapevole nel l'improvviso del gesto di coprirsi il volto col piattino. Fui io allora a provare vergogna. Una vergogna doppia, quando lei si tolse il piattino dal volto mostrandolo tranquillamente nudo e quasi fiero.  In quel momento entrambe avemmo coscienza che qualcosa di molto bello era passato tra di noi attraverso un sentimento buono scambiato rivelando ad entrambe l'intenzione vera che aveva spinto i reciproci gesti. La verità dell'autentico che annullava ogni fraintendimento.
Nei barboni c'è un pudore finissimo e delicatissimo che i ricchi di quattrini non conosceranno mai. Una dignità che oltrepassa l'immaginazione del possibile e certamente oltre ogni conformismo fatto passare per vero. Turbata sino al scombussolato delle viscere, mentre correndo proseguiva altrove,  pensavo quale motivo poteva avere spinto quella clochard  a quella scelta obbligata e certamente non schiavista. Forse un non volersi sotto mettersi ad altre ben più feroci sottili umiliazioni o ricatti non contestabili neppure a un prete. E per poco non  ho inciampato in un sampietrino sul frullo di un pensiero intuito per un qualcosa di tragico che ci sta sempre dietro ogni rovina. Una verità che gli occhi producono, trovando il coraggio eroico di adempiere con una scelta senza futuro  a l'unica alternativa capace di salvare se stesso al terribile specchio che implacabilmente rimanda al vero autentico e riflesso. Mirka  





"Cortigiani vil razza" (Rigoletto -G.Verdi)



lunedì 16 gennaio 2017

A UN AMICA



Così te ne sei andata per quel Viaggio senza tempo, né luogo a cui connettersi, e senza la necessità di bagagli a presso, amica bella delle nostre primavere. Ma hai lasciato, bionda fiamma volante qual eri, nel vuoto che ora avvolge la terra dei tuoi cari, invisibili atomi e bagliori che continueranno ad ardere germinando talento e vita. Specchio dei tuoi occhi ridenti di indomita forza e incrollabile fede.  Va Elisabetta va. E lieve ti sia il distacco  prima che la luce diventi impronta su cui altri passi si formeranno al ritmo perfetto che Insieme ci videro in festa. Con affetto, Mirka 


 "In Paradisum" ( Requiem di Gabriel Faurè)




giovedì 12 gennaio 2017

L'AMICO




Eravamo amici. Un'amicizia complice, semplice, sottile e profonda, lieve come lo sguardo di un bambino che si burla di tutto e tutto prende sul serio. Non si aveva bisogno di troppe parole per capirsi e afferrare il senso giusto su e fra ogni parola. Non ci si vedeva ogni giorno ne ci si sentiva ogni giorno, eppure entrambi sapevamo di esserci respirando la stessa aria. L'intuizione precisa  era il collante che ci legava l'uno all'altro diventando strada. un'unica strada. Lui sentiva quando avevo bisogno di presenza fisica. Mi telefonava. Piccoli e lievi avamposti di schermaglia per testare la profondità del mio umore poi   l'immancabile invito a mangiare qualcosa alla  "Fontanella Borghese" o alla "Buca di Ripetta" e, davanti a un piatto scelto dal suo palato raffinatissimo e a un calice alzato guardandoci negli occhi ( marrone dorato i suoi) cangianti come il mare della Maddalena (isola) i miei, si ritrovava l'armonia di sempre, la gioia grata per un'amicizia così bella consolidata dalle affinità e da un'allegria anche se velata di presaga tristezza.  
 Ultimamente aveva preso l'abitudine di passare a casa mia verso le quindici per un baby whisky prima di andare al giornale dove lavorava come redattore di politica estera. Sul divano di pelle bianca vicini si era seduti e come al solito si scherzava su quello o quell'altro personaggio politico a sipario chiuso, quando i miei occhi caddero su le sue mani, belle, curate e senza bisogno di oro per accrescerne lo splendore, notando con stupore che all'indice della mano sinistra luccicava qualcosa in più. Non so il motivo ma al cuore saltò un colpo anche se bonariamente cominciai a prenderlo in giro  ma come un anello? tu così avverso   tu che provieni dal Manifesto (giornale) tu contro ogni forma borghese tu tu ecc ecc. Prima di rispondere lui si guardò l'anello poi la libreria che gli stava di fronte poi ancora l'anello, infine con un tono di voce ancora più bassa di quella solita che non gli avevo mai sentito quasi fosse rivolto più a se stesso che a me mi disse "Questo è un emblema di famiglia. Una pietra con lo stemma del mio casato. L'ho fatta incastonare e ora lo porto con me. Immediatamente ho capito che qualcosa di troppo serio stava succedendo e sul quale non si poteva scherzare.     Dopo sei mesi moriva per un tumore al cervello. Sulla sua lapide volle che fosse inciso questo "Brevi sono le forme che il caos inquieto produce".  Aveva quarantadue anni. Oggi avrei dovuto incontrarlo a Bracciano. Non posso farlo dal momento che sono ancora influenzata anche se so con certezza che ovunque mi sentirà con quella Bella Ciao appena accennato deponendo una rosa rossa dal lunghissimo gambo verde ancora umido di linfa c sul cofano della sua ultima dimora in territorio ostile, nel giorno del suo funerale.  Si muore una sola volta nella realtà, ma tante sono le morti fisiche o di cuore, per chi resta ancora sulla strada e in cammino.  Mirka


"Gnossienne" ( n. 1- 2- 3- Erik Satie)




martedì 10 gennaio 2017

LA ROSSA CASA VOLANTE









 Era Lei che come freccia ballava
 tra il bianco della neve e i mandorli in fiore 
ignorando il tempo convenuto a tavola.

La Gioia raccoglieva  legname odoroso ovunque
 sgorgasse il rumoroso cantato del ruscello
  per il gran fuoco del sacro incamminato al l'imperiale vita

e  fruttati trafitti dal l'oro bronzo dal sapore della Libertà          
fra gli alberi intrecciati in visione di foresta luce
erano il non proibito del Primo paradiso. 

  Una casa volante  pareva   
quella piccola auto rossa
 guizzante come freccia che non sbaglia un colpo.  

Dentro si giocava il mondo 
invisibile e Non visibile
sul fioretto della malinconia velata 

come ogni cosa in addivenire quando svanisce quel  gustato arcaico
adombrando il corpo di magneti sfiorati da un inserto clandestino
 fuori da quel unico colore che si chiama Vita in eterno vincente combattuto .



Mirka


"Tango To Evora" ( Lorena Mckennit)










lunedì 9 gennaio 2017

PICCOLI ARCOBALENI SUL PRATO







Non canta più l'allodola al mio orecchio 
 né alla bocca la varietà d'uccelli 
  né all'occhio l'allegria del fiore  
 né i passi  in germogli di soli 
   nè l'antico pendolo che scandiva il tempo in sintonia
 col cuore e la follia del vino. 
 Ma rumori.
 I rumori si.  
Estranei ai miei sensi su cui a ognuno pulsava vita. 
 Ed è fastidio. 
Fastidio della Non vita ostentata a verità  
  la Realtà del dolore che sento dentro agli occhi  troppo addestrati 
a ogni visione vicina o lontana.  
 Nel mentre le Bellezze  tutte del mondo
 ho impresse in retina
 come in memoria incupita dal velo del singhiozzo 
  ragnatela trappola e di meraviglia muta.  
E pare persino che pesi un poco la nostalgia che continua
 a scendere in tanti piccoli arcobaleni depositati 
su un prato verde di rugiada.  
  E intanto il pensiero andava
 a quella vecchia melensa e bigotta e mai stata donna che offrendo
  bon bon e biscotti cercava di spegnerne l'entusiasmo
 per continuare della tela il lavoro
 e che con gentilezza secca in faccia
 le chiudeva lentamente la porta.  


Mirka




"Adagio" (Concierto de Aranjuez - Joaquin Rodrigo)





martedì 3 gennaio 2017

LA GOCCIA DI MAMMELLA



Si era fermata là, nell'alto della guancia. 
 Luminosa stella che cade senza far rumore,
 nel tiepido rigagnolo dove il seno si moltiplica per due
 e,
come goccia di mammella,
  di cui,  una, 
 lei, 
ribelle Nereide staccata da tutto,
 ordiva la sua tela fatta d'antica luna. 

 E pareva raccontare di
 nascite, 
trasfusioni, 
rinascite e trasformazioni
 sino ad evaporare a ibrida sostanza
 ma   
 con la volontà di lasciare un segno  
come di latte 
che fuori esce da turgide mammelle
 o
 come valorosa sentinella morta sul campo. 
 La goccia.  


Mirka"Zorba


  "Notturno"  (Op 9  n.2 -Do Flat Major -F. Chopin)